ESTROSI GEOLOGI
di: admin_gxdi Alessio Argentieri 1, 2
(1) Città metropolitana di Roma Capitale- Dipartimento IV “Pianificazione, sviluppo e governo del territorio”- Servizio 2 “Geologico, difesa del suolo – rischio idraulico e territoriale”, e-mail: a.argentieri@cittametropolitanaroma.it
(2) Società Geologica Italiana- Sezione di Storia delle Geoscienze, e-mail: storiageoscienze@socgeol.it
Introduzione
Le fondamenta del progetto Geoitaliani (www.geoitaliani.it) poggiano sulle figure quasi leggendarie dei precursori delle scienze naturali nel nostro Paese, sviluppatesi pienamente dal Rinascimento. Protagonisti di questi albori furono studiosi poliedrici, attivi in campi disparati (anatomia, botanica, alchimia, metallurgia, chimica, medicina, zoologia, orittologia, e forse anche stregoneria…). Questa tendenza alla multiformità di interessi, la cui massima espressione si incarnò in Leonardo da Vinci, si è propagata nel tempo e nello spazio, lasciando una traccia nel ‘DNA virtuale’ dei geologi italiani, sino ai giorni nostri.
Questo confusionario contributo è un repertorio, ovviamente incompleto, di personaggi che hanno sviluppato e coltivato, nel passato recente e prossimo, interessi paralleli alla passione per la geologia. Partendo dal contributo istrionico dei geologi attori alla Settima Arte si passa alle performances sportive e si chiude con quelle musicali e poetiche.
PRIMO ATTO- LA SETTIMA ARTE: GEOLOGI ATTORI
Fatta la premessa, non resta ora che iniziare proferendo le parole magiche: “MOTORE! PARTITO! CIAK! AZIONE!”
E’ d’obbligo avviare la rassegna con le presenze sul grande schermo, e da una foto che per prima ha ispirato questo racconto: tre giovani prestanti in costume di scena, a formare una piccola piramide umana (Fig. 1). Sono Ernesto Centamore (futuro rilevatore del Servizio Geologico d’Italia e poi professore presso le Università di Camerino e Roma- Sapienza) e Biagio Camponeschi (docente presso la Facoltà di Ingegneria della Sapienza e a Perugia), giovani figuranti del più famoso Colossal della storia del cinema: Ben Hur, prodotto dalla Metro Goldwyn Mayer e realizzato a Roma negli studi di Cinecittà, tra il 1958 e il 1959, con la regia di William Wyler. La pellicola, che ottenne 11 Oscar, richiese uno sforzo economico imponente: 15 milioni di dollari, una parte dei quali utilizzata per pagare i circa 50.000 tra generici, figuranti e comparse reclutati a Roma. Tra di loro, gli aitanti giovanotti nella foto. Ernesto, come “generico extra di prima categoria” ricoprì durante le riprese più ruoli: pretoriano con lancia e scudo piantato solidamente davanti alla meta; pirata; tamburino portainsegne. Memorabili i racconti della scene della Via Crucis, nelle esotica location simbruina degli Altipiani di Arcinazzo, e della battaglia navale nel vascone di Cinecittà, con il pirata Biagio Camponeschi che liscia tragicamente la passerella durante l’arrembaggio, sparendo lungo la murata dell’imbarcazione. Vengono perciò in mente le parole di Walter Alvarez: “my friend Ernesto Centamore, a giant Italian with a gargantuan appetite for life, for food, and for geology” (in “T. rex and the crater of Doom”, 1997): una definizione concepita sulle montagne umbro-marchigiane negli anni ’70, che ancora oggi gli si attaglia alla perfezione.
Restando in campo cinematografico, un laureato in Scienze Geologiche del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Camerino ha scelto la passione della gioventù, la recitazione. E’ il camerte Cesare Bocci, classe 1956, tra i cui meriti artistici è impossibile non citare in primis l’aver dato meravigliosamente corpo al Vicecommissario Mimì Augello: senza di lui, non avrebbe ragion d’essere neanche l’amato Commissario Montalbano. Grazie a fonte confidenziale attendibile, ecco una chicca (poi confermata dallo stesso interessato) sulle prime interpretazioni di Bocci, abile a cambiar dialetto: durante una serata di un’escursione di universitari camerti, Cesare si produsse assieme al compagno di studi Peppe Vella in un’applaudita imitazione della coppia formata dal romano Centamore e dal gallurese Giovanni Deiana (coraggiosamente fatta davanti ai due originali). Ricordiamo infine che il cordiale Cesare, oltre a prestare il proprio volto a molte iniziative benefiche, è anche testimonial della “Settimana del Pianeta Terra”.
Spariamo adesso un’altra cartuccia formidabile. Negli anni ‘50 sul Lago Maggiore si doveva fare veramente una bella vita; lascio che ne assaporiate l’atmosfera attraverso le parole di chi lo ha raccontato: “Sono nato e cresciuto sul Lago Maggiore, a Stresa, e nel primo dopoguerra c’erano il casinò, le prime elezioni di Miss Italia e tanto movimento, per cui era normale che girassero tanti film, e che noi ragazzi del paese venissimo invitati a partecipare, come comparse e talora come caratteristi. Così sono stato comparsa in “Una notte con te”, “Cronaca di un amore”, e altri di cui non ricordo il titolo, mentre ho avuto una particina in “Miss Italia”, dove rappresentavo uno studente secchione, con gli occhiali, fan di una Miss Italia che era la Gina Lollobrigida (che io già conoscevo di persona). Quando mi è capitato, dopo cinquanta anni, di vedere il film, non ho più ritrovato alcune scene che avevo girato, ma avevo conservato delle locandine, tra cui quella che ti ho trasmesso. Tutto qui, allora come futuro geologo andavo a mezzogiorno alle cave di Baveno, quando facevano saltare le mine, a cercare tra i massi frantumati dei bei cristalli di quarzo e ortoclasio. Ma ero ancora in prima liceo.” Quel ragazzo, amico delle belle attrici dell’epoca, era Antonio Praturlon (fig. 2, fig. 3), futuro membro della “trinità geologica” con Colacicchi e Castellarin. E un altro piccolo coup de théâtre: chi era lo sceneggiatore di “Miss Italia”? Vittorio Nino Novarese, vincitore poi di due premi Oscar come costumista, ma soprattutto figlio del grande geologo torinese Vittorio Novarese.
Il legame tra geologia e cinema ci porta ora a tre fratelli originari di Amelia, presso Terni: Odoardo, Piero e Mario Girotti, tutti e tre con esperienze di recitazione. Per Mario, noto con il nome d’arte di Terence Hill, una lunghissima carriera iniziata coi Musicarelli degli anni ’50, poi il grande successo tra la fine dei anni ’60 e i ‘70 come cowboy (spesso sugli scenari delle montagne appenniniche) e dopo molti anni, quale prete in bicicletta con tonaca e baschetto, su quelle ‘Montagne di San Francesco’ tanto care ai geologi. Veniamo al fratello maggiore Odoardo Girotti, geologo quaternarista e già professore presso La Sapienza, e alla sua presenza cinematografica di gioventù in Viale della speranza di Dino Risi (1952), il cui protagonista era Marcello Mastroianni (piccola divagazione: Marcello, in virtù del diploma di perito edile, lavorò durante la Seconda Guerra Mondiale come disegnatore tecnico presso l’Istituto Geografico Militare di Firenze; un’altra sottile liaison tra cinema e discipline della Terra). Infine, per completezza di informazione, menzioniamo il minore dei fratelli Girotti, Piero, che recitò come attore in Il padrone sono me! di Franco Brusati (1955), con Paolo Stoppa e Andreina Pagnani.
Il paleontologo Carlo Sarti, classe 1962, nativo di Budrio e laureatosi all’Università di Bologna, è il curatore del Museo Geologico “Giovanni Capellini”. Ricercatore, scrittore e divulgatore, è anche regista e sceneggiatore di lungometraggi e cortometraggi; tra i titoli della sua filmografia citiamo Goodbye Mr. Zeus del 2009 e La finestra di Alice del 2013.
Leo Ortolani, classe 1967, pisano di nascita ma parmense d’adozione si è laureato in scienze geologiche all’Università di Parma; è affermato disegnatore, fumettista e creatore di graphic novels, tra cui spicca la celebre serie “Rat-Man” (trasposta anche in cartone animato). La passione d’origine emerge da uno dei lavori più recenti di Ortolani, dal titolo Dinosauri che ce l’hanno fatta, pubblicato nel 2020 dopo una lunghissima gestazione iniziata, a sua detta, nel lontano 1972.
Altro personaggio è Gildo Di Marco, abruzzese di Sulmona, classe 1946. Studente di Scienze Geologiche alla Sapienza di Roma negli anni ’60, si laureò sotto la guida di Ruggero Matteucci con una tesi in micropaleontologia sulla successione laziale-abruzzese. Fu attore cinematografico, poi insegnante e ideatore della manifestazione rievocativa “Giostra cavalleresca di Sulmona”. Tra i lavori cinematografici più recenti di Gildo menzioniamo Mala tempora (2008) di Stefano Amadio, Baùll di Daniele Campea (2014), Un’icona d’argento (2017). La sua carriera artistica iniziò e si sviluppò tra gli anni ’60 e ’70, quando prese parte come attore caratterista a numerose pellicole di genere: Spaghetti-western (I Quattro dell’Ave Maria, 1968; Un esercito di cinque uomini, 1969; Arizona si scatenò… e li fece fuori tutti!, 1970; Continuavano a chiamarlo Trinità, 1971; Gli fumavano le colt… lo chiamavano Camposanto, 1971; Uomo avvisato mezzo salvato… Parola di Spirito Santo, 1971; Sentivano uno strano, eccitante puzzo di dollari, 1973); horror italiani anni ’70 con Dario Argento (L’uccello dalle piume di cristallo, 1970; 4 mosche di velluto grigio, 1971; Il tram, 1973); drammi come La bellissima estate (1974) di Sergio Martino; commedie quali Armiamoci e partite (1971) con Franchi e Ingrassia, Il terrore con gli occhi storti (regista Steno e protagonista Enrico Montesano, 1972), ma soprattutto Brancaleone alle crociate (1970). In quest’ultima pellicola, capolavoro del cinema italiano firmato dalla triade Monicelli-Age-Scarpelli, Gildo era tra i membri dell’armata di sgangherati in Terra Santa, ricoprendo il ruolo dello storpio ma vedente sempre portato, in una bizzarra simbiosi, a cavacecio dal cieco (Fig. 4). E’ lui l’oggetto di una delle migliori battute del film, magistralmente recitata da Adolfo Celi, il re Boemondo che parla in siculo a rima baciata, come nel Teatro dei Pupi: sul campo di battaglia, sotto le mura di Gerusalemme, Boemondo chiede a Brancaleone mentre passano in rassegna l’armata pronta alla pugna: “Vene cuntra a li nimici/ puri chiddu a cavacici?”. Tutto assolutamente sublime…
SECONDO ATTO-MENS SANA IN CORPORE SANO: GEOLOGI ATLETI
La pratica dell’attività sportiva, specialmente quella agonistica, fu opportunità per i prestanti giovanotti menzionati nella prima parte per essere notati in quanto atleti e quindi introdotti nel cinema. Sia Odoardo Girotti che il fratello Mario ebbero negli anni ‘50 una esperienza agonistica come nuotatori presso la S.S. Lazio. Ernesto Centamore praticava invece il canottaggio.
Nel rugby eccelse Guglielmo Colussi, che alla professione geologica svolta all’estero affiancò una carriera rugbistica, prima da giocatore (S.S. Lazio, CUS Roma e Rugby Roma) con 7 caps nella Nazionale maggiore (tra il 1957 e il 1968- Azzurro n. 164), poi da allenatore e dirigente sportivo. La maglia azzurra la vestì anche Mario Percudani (9 caps negli anni ’50. Azzurro n. 135), laureato in geologia che però fece l’imprenditore ortofrutticolo, 3 scudetti con la Rugby Parma. Nel campo affine dell’ingegneria idraulica e dell’idrologia si trova un terzo azzurro (4 presenze), il veneziano Andrea Rinaldo, ordinario di costruzioni idrauliche all’Università di Padova, già seconda linea del Petrarca, poi presidente del club patavino e dirigente della Federazione Italiana Rugby. Nella palla ovale si sono inoltre cimentati, a livelli amatoriali, vari geologi: tra cui Lamberto Pannuzi, l’attuale presidente SGI Sandro Conticelli, Claudio Faccenna, Andrea Billi, Massimo Fabiani, Pierfrancesco Grangié, Marcello Goletti, Dario Tinti.
E in una galleria quasi tutta di personaggi maschili figura anche Patrizia Costa Pisani, laureata in scienze geologiche alla Sapienza con il già citato Centamore. Oggi Patrizia è senior staff seismic imaging geophysicist alla compagnia petrolifera Chevron (Huouston, Texas, USA); a questo brillante curriculum si affianca anche un passato rugbistico di buon livello con l’Arvalia Rugby Villa Pamphili a Roma, che le è valso due presenze ufficiali con la Nazionale maggiore femminile.
Il paleontologo Nino Mariotti fu invece pallavolista in gioventù con il CUS Roma (1958-70), poi allenatore della squadra femminile in serie A (fino al 1986) e della juniores maschile che vinse il campionato italiano.
Il legame tra l’atletica leggera e la geologia lo incarnò appieno Renato Funiciello, il cui percorso intrecciato tra scienza e sport, prima come praticante e poi come precoce allenatore, è sul numero 36 di questa rivista (2013). Ma Renato non fu il solo a calcare le piste di tartan: negli anni ’60 si strutturava a Roma una nuova leva di atleti tra gli studenti universitari, aggregati attorno al Centro Universitario Sportivo Italiano. Tra i laureandi e giovani ricercatori di allora alterneranno le calzature sportive agli scarponi da montagna anche Gianni Lombardi, Umberto Nicosia, Giovanni “Jack” Pallini (più noto per le passioni pantagrueliche), Francesco Schiavinotto, Maria Alessandra Conti. Tra i docenti citiamo Antonio Praturlon e Giuseppe Sirna. Rivedere oggi, nell’epoca dell’abbigliamento sportivo griffato e delle scarpe di colori diversi e sgargianti, queste meravigliose immagini di tute striminzite, di tessuti scomodi e tutt’altro che antitraspiranti, di abbinamenti di capi improbabili fa sorridere, commuovere e inorgoglire allo stesso tempo (fig. 5, 6). Infine menzione per il professionista e autore di testi tecnici Giulio Riga, calabrese, che negli anni fu buon mezzofondista (800 e 1500 metri), allenato da Funik e da Oscar Barletta, vestendo i colori delle Fiamme Gialle e della nazionale.
TERZO ATTO-ISPIRATI DA EUTERPE E CALLIOPE, OVVERO DEI GEOLOGI MUSICISTI E POETI
Le Muse Euterpe e Calliope hanno ispirato diversi geologi nella musica e nella poesia.
Un personaggio peculiare è il parmense Roberto Mantovani (1854-1933) che, dopo essersi diplomato in violino alla Regia Scuola di Musica della sua città, divenne scienziato autodidatta. Ebbe un’esistenza originale, che lo portò dapprima per ragioni concertistiche all’isola di Reunion, dove si trattenne e visse poi per 15 anni, mettendo su famiglia e guadagnandosi da vivere come insegnante di musica e console onorario italiano. La permanenza nell’Oceano Indiano (su quello che in seguito sarebbe stato identificato come uno hot spot) lo portò a formulare precoci considerazioni di geodinamica: il contributo più noto di Mantovani, esposto in uno scritto del 1909, è infatti una teoria di deriva continentale connessa ad espansione del pianeta per dilatazione. La paternità del concetto di mobilità dei continenti, seppur in forma ancora embrionale e confusa, gli fu riconosciuta vent’anni dopo dallo stesso Alfred Wegener nel suo celebre “Die Entstehung der Kontinente und Ozeane” del 1929. Successivamente Mantovani si trasferì alle Isole Mauritius e poi in Bretagna.
Altra vicenda, di tempi meno remoti e luoghi non esotici. Nel 1976 si creò a Roma, nella grande stagione che ebbe il Folkstudio di Trastevere come luogo simbolico, il “Gruppo di musica acustica e medievale”. L’ensemble sviluppò un repertorio che, partendo dal Medioevo e dal Rinascimento europei, si è espanso a comprendere sonorità dell’area celtica e composizioni proprie. Il nucleo fondatore della formazione, evoluta nel tempo divenendo più semplicemente “Acustica Medievale” (fig.7), era composto dai fratelli Paolo (voce, fiati, chitarra) e Guido Benigni (chitarra, tastiere, voci) e da Massimo Santantonio (chitarre, mandolino) stratigrafo del carbonatico, già rilevatore del Servizio Geologico d’Italia e oggi professore presso l’Università Sapienza. E’ del 1982 l’incisione di un LP (era ancora l’epoca del vinile), l’omonimo Acustica Medievale, etichetta Folkstudio; della formazione che incise quell’album del 1982 faceva parte altresì, al basso e alle percussioni, Fabrizio Cecca (fig. 8), altro paleontologo/stratigrafo, oltre che contrabbassista/compositore. Faceva parte anche lui della covata di appassionati che Giovanni “Jack” Pallini plasmò sulla dorsale umbro marchigiana, facendone degli specialisti di ammoniti. Cecca si laureò presso La Sapienza nel 1981/82, con una tesi sulle associazioni del Giurassico superiore dell’Appennino Umbro-Marchigiano; successivamente conseguì il Dottorato di Ricerca presso l’Università di Lione sotto la guida di Raymond Enay, lavorando nel Bacino Voconziano. Nel periodo fine anni ’80 – metà anni ’90 fu geologo presso il Servizio Geologico d’Italia e ricercatore presso l’Università di Urbino; si trasferì poi definitivamente in Francia, inizialmente all’Università di Marsiglia e infine a Parigi, divenendo professore di paleontologia all’Université Pierre et Marie Curie. Dal punto di vista musicale ebbe una lunga carriera, iniziata nel 1976 in Italia e proseguita in Francia in parallelo a quella scientifica. Spaziò in vari campi: oltre all’esperienza con la visionaria Folk Magic Band negli anni Settanta e quella con gli Acustica medievale, fu apprezzato jazzista, e collaborò con vari cantautori italiani, quali Francesco De Gregori, Mimmo Locasciulli e Sergio Caputo.
Nel 1991 Acustica Medievale si sciolse, per ritrovarsi vent’anni dopo, nel 2011, in una “release 2.0”. In questo lasso di tempo Massimo Santantonio si è dedicato, oltre che alla ricerca geologica, ad un’altra formazione, il “Massimo Santantonio Quintet” nato negli anni ’90, che ha prodotto tre album (“Massimo Santantonio Quintet – featuring Antonello Salis”, 1995; “Script” 2001; “Rome to Yerevan, and back” 2016).
Passiamo poi ad un altro geologo artista, Carlo Doglioni, docente di geologia strutturale presso le Università di Ferrara, Potenza e Sapienza di Roma, già presidente SGI e attuale Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Le cose appena dette su Carlo sono arcinote, ma non tutti sanno invece che egli è un eccellente pianista, allievo di Franco D’Andrea, membro del famoso gruppo di proto-fusion italiano degli anni ’70 “Perigeo”.
Ancora un’altra storia musicale. Francesco Dramis, illustre geomorfologo, è stato professore alle Università di Camerino (ancora Camerino! fa un buon effetto l’aria marchigiana…) e Roma TRE. In gioventù, oltre a percuotere le rocce con il martello, Franco faceva altrettanto con le bacchette sulla pelle tesa dei tamburi. Alla fine degli anni ’50, da studente al Liceo Classico “Giulio Cesare” di Roma, entrò a far parte di un quartetto jazz che si dedicava anche alla musica leggera. Negli anni degli studi universitari l’attività di batterista cominciò a diventare remunerativa, con i tè danzanti pomeridiani e serate nei night romani dell’epoca. In particolare si cita il noto locale “Grotte del Piccione” in via della Vite (Fig. 9), frequentato dalle star del cinema italiano e internazionale negli anni della Dolce Vita e della ‘Hollywood sul Tevere’; vi si esibivano all’epoca Carlo Loffredo, Fred Buscaglione, Marino Barreto jr, Bruno Martino, per citarne alcuni. Nuove collaborazioni iniziarono per Dramis con artisti quali Memmo Foresi, Carlo Loffredo, Johnny Cabildo (al secolo Giorgio Sabelli) e Lucio Battisti; con quest’ultimo Franco fece parte di un complesso che faceva serate nei locali romani e in varie località turistiche durante l’estate. Il repertorio spaziava da jazz e dixieland ai generi latinoamericani. Dopo la laurea nel 1963, ancora qualche esibizione di Franco con formazioni jazz al già ricordato Folkstudio. Va infine detto che anche lui, in qualità di musicista, ha avuto una apparizione cinematografica, nel film “Primo applauso” (1957) con protagonista Claudio Villa, soggetto e sceneggiatura di Vincenzo Talarico.
E infine ancora un camerte musicista: è Gilberto Pambianchi, allievo di Dramis e professore di geomorfologia all’università marchigiana, tuttora chitarra e voce della formazione Old Boys.
Per chiudere passiamo alla poesia, con un nome su tutti: Edoardo Semenza (fig. 10). Egli è noto come il geologo che scoprì la grande frana del Vajont nell’agosto 1959, più di quattro anni prima del tragico il disastro del 9 Ottobre 1963. Nato a Vittorio Veneto, Semenza era figlio dell’ingegner Carlo, progettista e costruttore della diga omonima; laureatosi all’Università di Padova, è stato professore presso quella di Ferrara per più di 40 anni. Il suo campo di attività fu quello della Geologia applicata, con particolare riguardo ai fenomeni franosi e agli studi geologici propedeutici alla progettazione delle opere di ingegneria civile. Fu anche consigliere nazionale dell’Ordine dei Geologi, coordinatore del primo Dottorato italiano di Geologia Applicata, membro del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche del CNR. Memorabile resta la sua vena poetica, con cui non mancava di celebrare in versi le Riunioni della Società Geologica Italiana. Ai suoi sonetti il compito di aprire molti degli atti di quei convegni. Su tutte, è d’obbligo menzionare le rime baciate con cui, sugli atti del congresso del 1978, descrisse magistralmente ed in poche parole, la storia delle Linea “Ancona- Anzio” e del dibattito scientifico attorno ad essa:
“Compressiva o distensiva,
trascorrente, morta o attiva;
l’A-A a quanto pare
è una faglia tuttofare
stira, struscia,
strucca o scorre
proprio come a ognuno occorre”.
Si chiude qui- per ora – la rassegna in tre atti degli Estrosi Geoitaliani, che ci hanno fatto e ci fanno ancora divertire. Di questo la comunità geologica italiana deve essere immensamente grata a tutti loro.
Ringraziamenti
Questa narrazione si basa su informazioni carpite, suggerite o caparbiamente cercate, che giunte una dopo l’altra hanno portato il testo ad esser più volte riveduto e aggiornato. L’auspicio è che questa sia da stimolo per analoghe storie di ‘vite parallele’, con cui altri colleghi e colleghe vorranno proseguire il filone. Un particolare ringraziamento per la documentazione fotografica e per le preziose informazioni a: Silvano Agostini, Ernesto Centamore, Domenico Cosentino, Giorgio Vittorio Dal Piaz, Gildo Di Marco, Francesco Dramis, Francesca e Fabio Funiciello, Pierfrancesco Grangié, Gianni Lombardi, Giacomo Mazzocchi, Umberto Nicosia, Antonio Praturlon, Massimo Santantonio, Umberto Risi.