Verso un prezzo minimo per le terre rare: l’assetto strategico del G7 e dell’Europa
di: Giampiero GabrielliNegli ultimi mesi, in seno al G7 e all’Unione europea si sono intensificate le riflessioni su strumenti di politica industriale finalizzati a stimolare la produzione di terre rare e magneti al di fuori della Cina, riducendo così una dipendenza considerata ormai strutturale. La Cina mantiene un ruolo dominante nella filiera delle terre rare, in particolare nei processi di raffinazione e produzione di magneti permanenti. Alcune stime indicano che Pechino controlli oltre il 90% della capacità globale di raffinazione di questi metalli e la quasi totalità della produzione di magneti avanzati. Questa predominanza è stata usata come leva politica: nel 2025, la Cina ha introdotto restrizioni all’export di ossidi di terre rare e magneti permanenti, contribuendo a generare turbolenze nelle catene globali dell’auto e dell’elettronica. In risposta, alcune licenze di esportazione verso l’Europa sono state accelerate, ma molte rimangono ancora in attesa o oggetto di disparità nei tempi di rilascio. Il risultato è che fabbriche europee utilizzatrici, specialmente nel settore automotive, hanno subito interruzioni o rallentamenti produttivi a causa di carenze di componenti strategici.
Tra le varie opzioni al vaglio, una delle più discusse è l’introduzione di un prezzo minimo garantito per le terre rare e i magneti prodotti fuori dalla Cina. L’idea è che questo meccanismo possa rendere sostenibile la nascita o l’espansione delle catene produttive nelle aree G7 e UE, compensando i costi elevati di raffinazione, i requisiti ambientali e gli investimenti iniziali. Negli Stati Uniti, ad esempio, il Dipartimento della Difesa ha stipulato un accordo con MP Materials che prevede l’acquisto futuro di ossidi di neodimio-praseodimio a 110 dollari al chilogrammo, una soglia molto più elevata rispetto ai prezzi correnti sul mercato internazionale. Questo schema garantisce una base minima di ricavo per chi investe in capacità produttiva alternativa alla Cina. Nelle discussioni del G7 a Chicago sono state considerate anche altre misure, come dazi o tariffe legate alle emissioni nel processo produttivo e restrizioni geografiche agli approvvigionamenti. Tuttavia, al momento non risultano decisioni vincolanti: le misure restano oggetto di analisi e negoziato.
Nel frattempo l’Europa ha già avviato alcune iniziative per colmare il vuoto infrastrutturale. In Estonia è stato inaugurato uno stabilimento per la produzione su larga scala di magneti a base di terre rare, realizzato da Neo Performance Materials, con un investimento di 75 milioni di dollari. La capacità iniziale è di 2.000 tonnellate all’anno, con prospettive di crescita fino a 5.000. Il progetto ha ottenuto sostegno finanziario dall’Unione europea e dal Canada, e sono già stati firmati contratti con clienti come Bosch e Schaeffler. Parallelamente, il gruppo Solvay ha annunciato l’ampliamento della produzione di materiali per magneti nello stabilimento di La Rochelle in Francia, con l’obiettivo di soddisfare fino al 30% della domanda europea nel medio termine.
L’adozione di un prezzo minimo o di altri strumenti regolatori presenta diversi nodi da sciogliere: la definizione del livello adatto, l’allineamento tra i Paesi coinvolti, la compatibilità con le regole del commercio internazionale, la disponibilità di materie prime grezze e i tempi di realizzazione dei nuovi impianti. Un regime coordinato potrebbe però favorire investimenti in tecnologie emergenti e ridurre i rischi di interruzione delle catene produttive in settori strategici come auto, energia e difesa. Le prossime mosse politiche e industriali chiariranno se queste intenzioni si tradurranno in decisioni operative, con implicazioni dirette sulla resilienza industriale e tecnologica delle economie occidentali.