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Equo compenso e servizi professionali: nuove regole tra libera professione e lavoro dipendente

di: Giampiero Gabrielli
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Il tema dell’equo compenso è diventato centrale nel dibattito sulle professioni intellettuali, specie per quelle figure tecniche che assumono responsabilità dirette nella redazione e sottoscrizione di relazioni e documenti previsti dalla legge, come geologi, ingegneri e architetti. Negli ultimi anni il quadro normativo italiano è stato oggetto di profonde trasformazioni, culminate nell’approvazione della legge 49/2023 e, più recentemente, nel cosiddetto “correttivo” al Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 209/2024), che ha modificato la disciplina dei compensi per i servizi tecnici negli appalti pubblici.

In origine, l’assenza di minimi tariffari a seguito delle liberalizzazioni avviate negli anni Duemila ha favorito una corsa al ribasso nei compensi professionali, con un impatto diretto sulla sostenibilità economica della libera professione e sul riconoscimento del ruolo sociale e tecnico dei professionisti. Il legislatore, a partire dal Jobs Act degli autonomi (2017) e poi con la legge 49/2023, ha cercato di ristabilire un principio di proporzionalità e adeguatezza dei compensi, soprattutto nei confronti della Pubblica Amministrazione, delle grandi imprese e delle banche.

La legge 49/2023 stabilisce che il compenso deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e non inferiore ai parametri stabiliti con decreto per ciascuna categoria. Ogni clausola che preveda compensi inferiori a tali soglie o condizioni contrattuali penalizzanti viene considerata nulla. Questa disciplina si applica oggi agli incarichi conferiti dalla pubblica amministrazione, dalle società a partecipazione pubblica, dalle banche e dalle imprese di grandi dimensioni (oltre 50 dipendenti o con fatturato annuo superiore a 10 milioni di euro). Restano possibili accordi differenti solo nei rapporti con clienti privati di piccola entità, ma sempre nel rispetto della dignità e del decoro professionale.

Il Codice dei Contratti Pubblici ha recepito il principio dell’equo compenso richiedendo che, nella determinazione della base d’asta per servizi tecnici, si utilizzino i parametri ministeriali. Tuttavia, fino all’ultima riforma, il sistema degli appalti pubblici ha continuato ad ammettere ribassi d’asta anche significativi, creando una zona grigia tra l’esigenza di tutelare la dignità professionale e la logica della concorrenza. In questo scenario, le sentenze amministrative degli ultimi anni hanno confermato che l’equo compenso, pur rappresentando un principio di riferimento, non trovava applicazione automatica nelle procedure di gara: la stazione appaltante era tenuta solo a giustificare la sostenibilità dell’offerta e la qualità del servizio, non il rispetto di soglie minime inderogabili per il compenso.

Con il Decreto Legislativo 209/2024, il quadro è cambiato in modo significativo. Per i contratti pubblici relativi a servizi di ingegneria e architettura di importo inferiore a 140.000 euro è stata introdotta la possibilità di ridurre il compenso fino a un massimo del 20% rispetto ai parametri. Per i contratti di valore superiore, invece, la nuova disciplina prevede che il 65% del compenso calcolato sui parametri sia considerato quota fissa non ribassabile, mentre solo il restante 35% può essere oggetto di ribasso; inoltre il punteggio attribuibile al prezzo in sede di valutazione dell’offerta è limitato, a vantaggio della componente qualitativa. Queste modifiche rappresentano una prima applicazione concreta del principio di equo compenso direttamente all’interno del sistema degli appalti pubblici, bilanciando la tutela della sostenibilità economica delle prestazioni tecniche con la necessità di mantenere una certa concorrenza tra operatori.

Per i professionisti che operano in regime di libera professione, il principio di equo compenso oggi si traduce quindi in una tutela normativa rafforzata. La legge consente di contestare clausole o bandi che fissino compensi al di sotto dei parametri e di richiedere, anche per via giudiziaria, il riconoscimento di un corrispettivo proporzionato. Gli Ordini professionali possono segnalare e impugnare bandi o convenzioni che violino la disciplina dell’equo compenso. L’accettazione consapevole di incarichi sottopagati può anche rilevare come illecito deontologico, oggetto di sanzione disciplinare.

Il quadro si presenta più articolato per i servizi professionali nell’ambito degli appalti pubblici. In assenza di una disciplina chiara, fino al 2024 la giurisprudenza aveva generalmente escluso la possibilità di applicare automaticamente i minimi equo-compensativi nelle gare, valorizzando invece i meccanismi di verifica dell’anomalia e della congruità dell’offerta. Il D.Lgs. 209/2024 supera questa impostazione: oggi le stazioni appaltanti devono rispettare nuovi vincoli sia per la determinazione della base d’asta sia per i margini di ribasso ammessi, garantendo che la maggior parte del compenso sia fissa e non ribassabile. Resta la possibilità di una limitata competizione sul prezzo, ma in misura fortemente ridotta rispetto al passato.

Un aspetto rilevante riguarda il lavoro dipendente, soprattutto il caso dei professionisti che operano come dipendenti di società aggiudicatarie di appalti e che firmano relazioni tecniche in prima persona. Attualmente, la normativa sull’equo compenso non si applica direttamente al lavoro subordinato. Il compenso del professionista dipendente è regolato dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) e dagli accordi individuali o aziendali, indipendentemente dal valore di mercato delle singole prestazioni tecniche firmate. Salvo previsione di specifiche indennità, premi di risultato o altre forme di valorizzazione economica, il dipendente percepisce esclusivamente lo stipendio previsto dal proprio contratto di lavoro.

Questo punto rappresenta un nodo critico, spesso sottolineato dagli ordini professionali e dalle associazioni di categoria: il valore della responsabilità tecnica – soprattutto nei settori regolamentati come la geologia – non trova oggi riconoscimento specifico nella disciplina dei rapporti di lavoro dipendente, mentre viene protetto e tutelato nel caso di prestazione professionale autonoma. La differenza di trattamento tra libero professionista e dipendente che svolgano, nei fatti, lo stesso tipo di attività (e firmino gli stessi elaborati), resta uno degli elementi più discussi e fonte di proposte di riforma. Alcuni contratti collettivi, soprattutto nel settore pubblico, prevedono istituti premianti per chi assume particolari responsabilità progettuali, ma si tratta di eccezioni non generalizzate.

Nel complesso, il principio dell’equo compenso è oggi uno strumento effettivo di tutela economica e professionale soprattutto per chi opera in regime di libera professione, con una disciplina specifica applicabile sia nei rapporti con la pubblica amministrazione sia con i grandi committenti privati. La recente riforma degli appalti pubblici ha reso più cogente il rispetto di soglie minime nei servizi tecnici, riducendo la possibilità di ribassi estremi e favorendo la qualità delle prestazioni. Rimane invece affidata alla contrattazione collettiva la questione del riconoscimento del valore economico della responsabilità professionale in ambito subordinato.

Si tratta di un equilibrio ancora in evoluzione: le novità legislative degli ultimi anni e, in particolare, il D.Lgs. 209/2024 segnano un primo tentativo concreto di raccordare le esigenze di sostenibilità economica delle prestazioni intellettuali con la logica della concorrenza negli appalti. La sfida, anche per il futuro, sarà garantire un’applicazione coerente dei principi dell’equo compenso senza compromettere la qualità dei servizi e il ruolo delle competenze specialistiche, sia nell’esercizio libero della professione sia nelle attività svolte dai professionisti dipendenti all’interno delle strutture organizzate.

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