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Consumo di suolo nel Lazio: il territorio continua a perdere terreno, servono strumenti urbanistici coraggiosi

di: Simonetta Ceraudo
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L’Ordine dei Geologi del Lazio ha partecipato, lo scorso 24 ottobre 2025, alla presentazione dell’ultimo rapporto dell’ISPRA – “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici – Edizione 2025” – che fotografa il fenomeno del consumo di suolo in Italia con dati aggiornati al 2024. L’analisi dei dati regionali evidenzia come anche nel Lazio la perdita di suolo continui a ritmo sostenuto, interessando non solo le aree urbane ma anche quelle rurali e, in misura crescente, zone a rischio idrogeologico e sismico.

Il quadro nazionale: si consuma ancora troppo, anche con meno abitanti

A livello nazionale, nel 2024 sono stati consumati 83,7 km² di nuove superfici artificiali, pari a 22,9 ettari al giorno. A fronte di soli 5,2 km² di suolo ripristinato, il consumo netto è di 78,5 km², un dato che conferma la difficoltà dell’Italia a invertire la rotta. Ancora più significativo è il fatto che questo avvenga in un Paese in calo demografico: il suolo consumato per abitante è salito a oltre 365 metri quadrati pro capite, circa un metro quadrato in più rispetto all’anno precedente. In altre parole, costruiamo di più anche se siamo di meno. È la prova che il consumo di suolo non dipende dalla crescita della popolazione, ma da un modello economico e amministrativo ancora troppo legato all’espansione urbana e alla rendita immobiliare.

A livello nazionale, nel 2024 sono stati consumati 83,7 km² di nuove superfici artificiali, pari a 22,9 ettari al giorno. A fronte di soli 5,2 km² di suolo ripristinato, il consumo netto è di 78,5 km², un dato che conferma la difficoltà dell’Italia a invertire la rotta ed è il più alto degli ultimi dodici anni. Rispetto al 2023, le nuove coperture crescono di circa il 15,6% e i ripristini diminuiscono (da ~8,15 a 5,2 km²): segnale che la capacità di “restituire” suolo arretra. Aumenta anche l’impermeabilizzazione permanente (circa +24,5 km² tra nuovo consumo permanente e superfici passate da reversibile a permanente).

Lazio: 760 ettari di nuovo consumo netto nel 2024

Il quadro del Lazio ricalca da vicino la tendenza nazionale. Nel 2024 la regione ha perso circa 785 ettari di suolo naturale, mentre le aree recuperate sono appena 25 ettari: il saldo netto, dunque, è negativo per 760 ettari. In termini relativi, significa che più dell’8% del territorio regionale risulta ormai impermeabilizzato.

Scomponendo il dato 2024: circa il 56% del nuovo consumo è legato agli impianti fotovoltaici a terra (se si escludono questi impianti, il consumo scende a ~341 ettari). La provincia di Viterbo emerge come il territorio più colpito, con oltre 400 ettari di nuove superfici artificiali in un solo anno (+424 ha, più della metà del totale regionale). Seguono Roma (circa 130 ha), Latina (poco più di 100 ha), e le province di Frosinone (57 ha) e Rieti (39 ha). Le nuove impermeabilizzazioni si distribuiscono sempre più nelle aree periurbane e rurali, dove la pressione insediativa e infrastrutturale è cresciuta anche in assenza di aumento della popolazione residente.

Aree rurali e impianti fotovoltaici a terra: la nuova frontiera del consumo

Il Rapporto ISPRA segnala un fenomeno in forte espansione: la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra. Il Lazio, in particolare, è la prima regione italiana per estensione di nuovi impianti costruiti tra il 2023 e il 2024, con oltre 400 ettari di suolo trasformati in campi fotovoltaici; in totale, si stima che siano ormai più di 2.000 ettari le superfici regionali occupate da pannelli installati direttamente sul terreno. Nel confronto nazionale 2023–2024, il fotovoltaico a terra ha generato circa 1.702 ettari di nuovo consumo: il Lazio pesa da solo per ~443 ettari (circa un quarto del totale).

Pur riconoscendo l’importanza della transizione energetica, l’Ordine dei Geologi del Lazio ribadisce la necessità di conciliarla con la tutela del suolo: la transizione energetica non può e non deve avvenire a scapito della funzione agricola e ambientale del suolo. Quando gli impianti vengono collocati in aree agricole di pregio o in paesaggi rurali intatti, si perde non solo produttività agricola, ma anche biodiversità, permeabilità e valore ambientale. È un nuovo tipo di consumo di suolo, meno visibile delle colate di cemento, ma altrettanto incisivo e oggi in netta crescita.

Le Linee Guida regionali sulle aree non idonee alla realizzazione di impianti FER (Fonti Energetiche Rinnovabili), approvate con la DGR 390/2022, forniscono criteri e indirizzi per evitare l’installazione in contesti agricoli sensibili o in aree di particolare valore paesaggistico e ambientale. Orientano la localizzazione verso coperture esistenti, aree industriali dismesse, cave e siti già compromessi, fornendo ai Comuni un supporto operativo nei procedimenti autorizzativi e di pianificazione. In un contesto di domanda energetica stabile e demografia stagnante, sono decisive per disaccoppiare la transizione energetica dal nuovo consumo di suolo.

In questa direzione si inserisce anche la Proposta di Legge Regionale n. 167/2024, che promuove il recupero con cambio d’uso delle unità immobiliari rurali non più funzionali all’agricoltura, favorendo il riuso del patrimonio edilizio esistente e contenendo il consumo di suolo, con requisiti energetici e ambientali elevati.

Il consumo di suolo in aree fragili: rischio idrogeologico e sismico

Ancora più allarmante è la tendenza a costruire nelle aree più vulnerabili, ovvero quelle già esposte a rischio idrogeologico o sismico.

Nel Lazio, le zone soggette a rischio idrogeologico mostrano una crescente pressione: nelle aree a pericolosità idraulica alta (HPH) è ormai impermeabilizzato l’8,64% del territorio, con un incremento di 26 ettari nell’ultimo anno; nelle aree a pericolosità media (MPH) la quota sale al 10,27% (+35 ha), mentre nelle LPH raggiunge il 13,46% (+75 ha). Nel 2024, l’incremento in MPH nel Lazio (+0,58%) supera la media nazionale (+0,46%), a conferma di una pressione che insiste proprio dove la vulnerabilità è più alta.

Per la pericolosità sismica, nelle Zone 2 risulta già consumato circa il 7,74% del suolo (+86 ha in un anno), mentre nelle Zone 1 la quota, pur più contenuta, cresce al 2,24% (+11 ha).

Questi dati evidenziano un paradosso, e al tempo stesso un fenomeno più volte denunciato dai geologi: si continua a costruire proprio dove il territorio è più fragile, aumentando così l’esposizione a frane, alluvioni e danni alle infrastrutture. Il coinvolgimento di aree a rischio idrogeologico nel nuovo consumo di suolo era già stato segnalato nell’articolo pubblicato l’8 agosto scorso sul sito dell’Ordine dei Geologi del Lazio, dal titolo “Lazio: cresce l’esposizione al rischio frane in tutte le province”. Anche in quell’occasione si sottolineava come la progressiva impermeabilizzazione dei terreni stia aggravando la vulnerabilità del territorio regionale, rafforzando la necessità di una pianificazione più consapevole e basata sulle conoscenze geologiche. Ogni nuova superficie impermeabile riduce la capacità del suolo di assorbire l’acqua, aumenta la probabilità di frane e alluvioni e mette a rischio la sicurezza di cittadini e infrastrutture.

Nota dell’OGL

Come ricordato nell’articolo ‘Lazio: cresce l’esposizione al rischio frane in tutte le province’ (8 agosto 2025), oltre l’80% dei comuni laziali è interessato da aree a rischio frana o alluvione. La crescita del consumo di suolo in questi territori fragili, oggi confermata anche dai dati ISPRA 2025, richiede un deciso cambio di rotta nella pianificazione territoriale, integrando stabilmente le conoscenze geologiche nei processi di governo del territorio.

Restituire permeabilità al territorio attraverso le città spugna: una priorità per il Lazio

Se i numeri del consumo destano preoccupazione, quelli del ripristino risultano ancora più scoraggianti. Nel 2024, nel Lazio, sono stati recuperati appena 25 ettari di suolo, a fronte di oltre 700 ettari impermeabilizzati: un divario che mostra come la rigenerazione resti episodica, priva di una strategia regionale strutturata. A livello nazionale, i ripristini coprono appena il 6–7% del nuovo consumo: è un rapporto che rende decisiva una politica stabile di de-impermeabilizzazione e rigenerazione.

In quest’ottica, il modello della “città spugna” offre un riferimento concreto: spazi urbani capaci di assorbire l’acqua, mitigare il rischio idraulico e ricostruire la permeabilità ecologica con soluzioni basate sulla natura. Promuovere città e paesaggi spugna significa non solo migliorare la resilienza climatica, ma anche restituire al suolo il suo ruolo di regolatore ambientale e risorsa viva del territorio.

Nel Lazio, il principio di invarianza idraulica (DGR 117/2020) costituisce un pilastro tecnico-normativo per la gestione sostenibile delle trasformazioni: ogni nuovo intervento deve dimostrare la non crescita delle portate di deflusso rispetto alle condizioni preesistenti, prevedendo volumi di invaso, laminazioni e soluzioni di drenaggio urbano sostenibile. È una traduzione operativa del concetto di “città spugna”, che integra le esigenze di sviluppo con la prevenzione del rischio idraulico e la ricostruzione della permeabilità naturale dei suoli.

Strumenti urbanistici coraggiosi e pianificazione integrata

Per invertire questa tendenza, è indispensabile adottare strumenti urbanistici coraggiosi, in grado di orientare lo sviluppo verso il riuso e la rigenerazione, e non verso l’espansione. Serve una gerarchia chiara: evitare nuovo consumo, riutilizzare il già costruito, rigenerare gli spazi degradati e, solo in ultima istanza, compensare dove non si può evitare. Allo stesso tempo, la pianificazione deve diventare più consapevole del rischio: integrare la conoscenza geologica e idrogeologica significa prevenire i danni e costruire in sicurezza, riducendo costi sociali ed economici.

Accanto alla revisione degli strumenti urbanistici comunali e alla maggiore integrazione tra pianificazione e conoscenze geologiche, è ormai indifferibile l’adozione di una legge regionale sul consumo di suolo, che definisca obiettivi chiari, criteri omogenei e indicatori di monitoraggio per tutto il territorio del Lazio. Una norma quadro regionale, in coerenza con le indicazioni ISPRA e con la recente Direttiva europea sul suolo, permetterebbe di armonizzare le politiche di uso del territorio, promuovere il riuso e la rigenerazione urbana e fissare limiti concreti al consumo di nuove superfici agricole o naturali. La futura legge potrà inoltre integrare stabilmente l’invarianza idraulica (DGR 117/2020) e rendere cogenti i criteri delle Linee Guida FER (DGR 390/2022) per l’individuazione delle aree non idonee agli impianti a fonti rinnovabili: un quadro coerente che armonizza sicurezza idraulica, tutela del paesaggio rurale e sviluppo delle energie pulite.

La nuova Direttiva europea e gli obiettivi di neutralità

Un quadro di riferimento arriva, come sopra accennato, dalla recente Direttiva europea sul monitoraggio e la resilienza del suolo, adottata nell’ottobre 2025. La norma introduce per tutti gli Stati membri sistemi nazionali di monitoraggio dei suoli, strategie di recupero delle aree degradate e impegni concreti per raggiungere la neutralità del consumo di suolo entro il 2050. Per l’Italia, che si è impegnata nel Piano per la Transizione Ecologica a conseguire il ‘consumo di suolo netto zero’ entro il 2030, questa direttiva rappresenta un’occasione storica per colmare i ritardi e allinearsi agli standard europei.

Conclusioni

Il Lazio, come molte altre regioni italiane, mostra un quadro complesso: il consumo di suolo non rallenta, si espande anche nelle aree rurali e fragili, e i ripristini sono ancora troppo pochi per invertire la tendenza. Il 2024 segna un punto di svolta: cresce il nuovo consumo, calano i ripristini e il peso degli impianti a terra si fa determinante sul totale regionale. Serve una visione strategica del territorio, capace di coniugare tutela ambientale, sicurezza e sviluppo sostenibile.

L’Ordine dei Geologi del Lazio sottolinea che il suolo è una risorsa finita e non rinnovabile: preservarlo significa difendere il paesaggio, la sicurezza dei cittadini e la resilienza dei sistemi naturali. In questa prospettiva, l’Ordine ribadisce la necessità di approvare al più presto una legge regionale sul consumo di suolo in grado di rendere operative a livello locale le linee guida nazionali e gli obiettivi europei. Solo attraverso una cornice normativa chiara e condivisa sarà possibile orientare le scelte urbanistiche, promuovere la rigenerazione e favorire la transizione verso città e paesaggi spugna, resilienti ai cambiamenti climatici e rispettosi delle dinamiche naturali del suolo.

La strada passa da piani urbanistici lungimiranti e coraggiosi, dall’adozione operativa del modello di “città spugna” (con interventi diffusi di de-impermeabilizzazione, drenaggio urbano sostenibile e soluzioni nature-based), e dalla piena attuazione della nuova direttiva europea. Solo così sarà possibile raggiungere l’obiettivo di consumo di suolo zero al 2030 per l’Italia e contribuire all’ambiziosa meta del “no net land take” al 2050 per l’Europa.

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